La Banca d’Italia è di proprietà di soci privati, ovvero di tutte le altre banche italiane e, fino a novembre scorso, la valutazione delle quote possedute da ciascun istituto era ferma al 1936, anno in cui venne fissato il loro valore da un decreto regio emanato per volere di Mussolini. Ciò significa che, fino a poche settimane fa, le quote di Bankitalia valevano solamente 156mila euro.
Il 27 novembre, l’esecutivo ha deciso di aggiornarle. Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccommanni, giovedì, intervenendo in audizione presso la commissione Finanze della Camera, ha fatto sapere che i risultati ottenuti utilizzando diversi metodi di valutazione hanno fatto propendere per un valore complessivo delle quote pari a 7,5 miliardi di euro.
Con il provvedimento, il massimo dei dividendi distribuiti ai soci potrà ammontare – ha precisato – a 450 milioni di euro. «Si passa da un dividendo contenuto ma di entità crescente nel tempo (potenzialmente senza limiti) a un dividendo maggiore ma soggetto a un limite fisso, garantendo quindi un automatico rafforzamento della base patrimoniale della Banca». Per il ministro, l’operazione contribuirà al sano andamento dell’economia. Gli istituti di credito, infatti, potranno avvalersi delle plusvalenze sulle quote per assorbire le sofferenze e riprendere a trasferire risorse alle imprese.
Saccomanni ha, infine, spiegato che da tempo è in corso una riflessione con la Banca d’Italia per verificare l’ipotesi di un provvedimento che regolamenti l’utilizzo delle sopravvenienze, vincolandole eventualmente a meccanismi di sostegno al credito.