Una bomba ad orologeria nei conti pubblici italiani di otto miliardi di euro. A tanto ammonta il rischio finanziario che incombe sull’Italia secondo un documento del ministero del Tesoro. A far vacillare la solidità finanziaria del Paese sarebbero una serie di derivati ristrutturati all’apice della crisi dell’Eurozona.
Una voragine che affonda le sue radici alla fine degli anni Novanta, durante il periodo precedente o immediatamente successivo all’entrata dell’Italia nell’euro, secondo il dossier di 29 pagine trasmesso da via XX Settembre alla Corte dei Conti. Nel documento non vengono menzionati in maniera puntuale i potenziali passivi in termini economici,secondo alcune stime l’ammontare potrebbe toccare circa 8 miliardi di euro in base ai prezzi di mercato del 20 giugno.
Il rapporto si riferisce esclusivamente alle transazioni e all’esposizione sul debito nella prima metà del 2012, inclusa la ristrutturazione di otto contratti derivati con banche straniere dal valore nozionale di 31,7 miliardi di euro. Il rapporto lascia fuori dettagli specifici e non fornisce una quadro completo delle perdite potenziali dell’Italia.
Secondo una fonte governativa, la magistratura contabile avrebbe letto con preoccupazione i numeri, ufficiali ma non pubblici, ricevuti a inizio 2013 e in aprile avrebbe inviato la Guardia di Finanza al dicastero in cerca dei contratti di stipula di quei derivati. Ma finora non li ha ottenuti.
La ristrutturazione dei derivati nel 2012 sarebbe collegata all’esigenza delle banche di ridurre il rischio Italia. In sostanza la crisi ha portato gli istituti specialisti in titoli di stato a presentare il conto dei vecchi derivati. Ed è qui che emerge una perdita potenziale di 8,1 miliardi.