Nuove previsioni al ribasso per quest’anno e per il prossimo. L’Istat stima infatti che nel 2013 il Pil scenderà a -1,8% per tornare a crescere (+0,7%) l’anno prossimo. Con queste elaborazioni, l’istituto di statistica rivede al ribasso gli ultimi dati forniti dal governo che prevedeva per il 2013 un -1.7% e per il 2014 un +1%. Subito arriva la replica di Fabrizio Saccomanni, il quale sostiene che la differenza sia dovuta alle attività del processo di riforma strutturale e alle misure sui rimborsi del debito della pubblica amministrazione.

 

Vediamo assieme i dati dell’Istat:

In una nota l’Istat chiarisce che nel 2013 il Pil beneficerebbe del solo contributo positivo della domanda estera netta (+1,1 punti percentuali). Nel 2014 la crescita del Pil sarebbe sostenuta sia dalla domanda interna al netto delle scorte (+0,4 punti percentuali) sia dalla domanda estera netta (+0,2 punti percentuali). Anche la variazione delle scorte sosterrebbe la crescita seppur in misura contenuta (+0,1 punti percentuali).

 

Non c’è troppo da star felici per questo dato, l’inversione di tendenza del Pil non sarà in grado, stima sempre l’Istat, di invertire la tendenza negativa del mercato del lavoro, con il tasso di disoccupazione destinato ad attestarsi quest’anno al 12.1%, e a salire sino al 12,4% nel 2014.

 

Per quanto riguarda i consumi delle famiglie, si prevede che questi si contraggano del 2,4% nel 2013 per poi crescere moderatamente (+0,2%) nel 2014, nonostante il permanere delle difficoltà sul mercato del lavoro e la debolezza dei redditi nominali.

 

Date le condizioni di debolezza del mercato del lavoro, le retribuzioni per dipendente continuerebbero a mostrare una dinamica moderata, +1,4%, sia nel 2013 sia nel 2014, dovuta al blocco retributivo nel settore pubblico e alla sostanziale equiparazione tra l’andamento delle retribuzioni di fatto e quelle contrattuali.

 

Infine, nel 2014 l’inflazione si attesterà all’1.6%. Il concretizzarsi per i prezzi al consumo di una dinamica inflazionistica più sostenuta nell’ultimo trimestre dell’anno dipenderebbe essenzialmente dagli effetti dell’innalzamento dell’aliquota ordinaria dell’Iva dal 21 al 22% introdotto il primo ottobre. E’ quanto prevede l’Istat, aggiungendo come il trasferimento completo sui prezzi finali dell’aumento dell’aliquota potrebbe, tuttavia, essere frenato dalla perdurante debolezza dei consumi.