Fin dall’inizio della crisi, gli imprenditori e le associazioni datoriali hanno denunciato le molteplici difficoltà legate alla congiuntura negativa, come i ritardi dei pagamenti imputabili ai committenti, la mancanza di liquidità, la difficoltà di accesso al credito. Tuttavia, solamente a seguito del gesto estremo di alcuni imprenditori che l’opinione pubblica ha iniziato ad interrogarsi sulle ripercussioni umane della crisi, soprattutto in un’area economicamente sviluppata come la nostra che, tra tutte le altre, è stata la più colpita. Solo nel 2012 in Veneto si sono registrati ben 26 suicidi di piccoli e piccolissimi imprenditori. Gente che, travolta dagli eventi, ha deciso di farsi da parte, non per l’incapacità di saper fare il proprio mestiere, ma, in molti casi, per l’ammontare di crediti mai riscossi o per il fatto che gli istituti di credito avevano chiuso i rubinetti del credito. L’onda emotiva creata da queste tragedie ha scosso il mondo della politica, del lavoro e della società civile, stimolando una mobilitazione collettiva che ha acceso i riflettori dei media nazionali su queste problematiche. In questi giorni la crisi ha coinvolto altre tre grosse realtà imprenditoriali della nostra Regione, come la Benetton, l’Electrolux e la Ceccato; il pericolo, in questi casi, non si limita alla crescita del numero di nuovi disoccupati, ma coinvolge anche centinaia e centinaia di piccole aziende subfornitrici che adesso rischiano la chiusura. Visto che la dote finanziaria messa in campo dalla Legge di Stabilità potrebbe non essere sufficiente a rifinanziare, anche nel Veneto, gli ammortizzatori sociali, corriamo il pericolo di ritrovarci con moltissimi lavoratori dipendenti espulsi dal mercato del lavoro senza nessuna misura di sostegno al reddito. Una prospettiva che, purtroppo, costituisce una certezza per tutti quegli artigiani o piccoli imprenditori che, una volta costretti a chiudere la propria attività, da sempre non dispongono di nessun paracadute sociale. Per questo, ritengo che mai come in questo momento sia necessario mobilitarsi, chiedendo soprattutto alle banche di ritornare a fare il loro mestiere. Sì, perché le piccole imprese stanno soffrendo soprattutto per la mancanza di liquidità. La crisi ha ridotto il fatturato e gli utili; tuttavia, nelle fasi di cambiamento queste realtà hanno sempre dimostrato di essere dinamiche, di adattarsi bene alle novità imposte dai mercati e di essere repentine nel soddisfare la domanda. Il capitale circolante rimane comunque di vitale importanza, poiché senza liquidità queste imprese sono destinate a chiudere. Al fine di soddisfare gli ordini e la domanda, le aziende devono, infatti, acquistare le materie prime e i servizi, pagare regolarmente i propri dipendenti, versare le tasse. E’ chiaro che senza soldi e senza la possibilità di ottenerne i progetti imprenditoriali muoiono con conseguenze ancora più dannose per la società e l’economia nel suo complesso. Con più disoccupazione, minore capacità di spesa, meno Pil, meno gettito fiscale per le Amministrazioni pubbliche, meno servizi e più tasse, sia per chi produce reddito, sia per chi, pur non lavorando, consuma beni e servizi sui quali incidono le imposte indirette.