La riforma del lavoro approvatala settimana scorsa dal Parlamento italiano è stata fortemente caldeggiata  dalla Banca Centrale Europea. Nella lettera inviata il 5 agosto scorso, a firma di  Jean Claude Trichet e Mario Draghi all’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ci era stato  chiesto, tra le altre cose, di adottare una revisione delle leggi che regolano l’assunzione e il licenziamento dei lavoratori dipendenti, di stabilire un nuovo sistema assicurativo  per coloro che perdono il posto di lavoro e di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e i settori più competitivi. In poche parole, ci è stato suggerito di adottare una maggiore flessibilità in uscita, da perseguire attraverso il ritocco dell’articolo 18, di combattere l’eccessiva flessibilità presente all’ ingresso, attraverso una più efficace lotta alla precarietà giovanile, e dar vita ad una copertura economica più estesa ma meno costosa per i disoccupati. Il testo di legge uscito definitivamente dalla Camera dei Deputati è il frutto di un onorevole compromesso che, pare di capire, non abbia riscosso grandi entusiasmi sia tra le forze politiche sia tra quelle datoriali/sindacali. Una domanda però ci pare essere molto opportuna:  che ricadute potrà avere questa riforma sul mercato del lavoro nel Veneto ? Premesso che è  estremamente difficile prevedere cosa potrà accadere, cerco lo stesso di prefigurare   il nuovo scenario che questa riforma potrebbe delineare. La revisione dell’articolo 18  è stato uno dei  punti più dibattuti di questa misura.  Se in questa riforma i licenziamenti discriminatori non sono stati modificati, le novità si sono concentrate su quelli economici. Nelle ipotesi meno gravi di illegittimità del licenziamento,   il rapporto di lavoro sarà risolto con la condanna del datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria omnicomprensiva oscillante tra le 12 e le 24 mensilità. Nei casi più gravi in cui il giudice accerterà   l’inesistenza del giustificato motivo o della giusta causa per non aver commesso il fatto o l’infondatezza delle ragioni oggettive o economiche, il licenziamento sarà nullo e il lavoratore sarà reintegrato conferendogli un’indennità commisurata all’ultima retribuzione fino  ad un massimo di 12 mensilità o, in alternativa al reintegro, una indennità sostitutiva pari a 15 mensilità.  Ora più di qualcuno sospetta che queste modifiche apportate al licenziamento per ragioni economiche aumenteranno la conflittualità tra le parti congestionando l’attività dei tribunali del lavoro. In Veneto, obbiettivamente, non credo che ciò avverrà. Ricordo che il 96% delle imprese della nostra Regione ha meno di 15 addetti, soglia sotto la quale l’articolo 18 non si applica, anche se va tenuto presente che da una nostra stima molto prudenziale emerge che la metà dei lavoratori dipendenti veneti  sia tutelata dall’articolo 18. Tuttavia una cosa è certa: grazie al forte senso di responsabilità presente in tutte le parti sociali, il livello di conflittualità sindacale nel Veneto è bassissimo e non credo che queste modifiche ne alzerà la soglia.  Per combattere la precarietà giovanile, la riforma ha aumentato il costo del lavoro sui contratti a termine e  su quelli atipici, con l’obbiettivo di rendere più appetibile, per il datore di lavoro, il ricorso all’ apprendistato come   contratto di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. E’ una misura che trova il mio sostegno anche se non dobbiamo dimenticare che nel Veneto, così come del resto in tutto il Nordest, l’apprendistato è molto diffuso ed è sempre stato un contratto di lavoro molto utilizzato dalle nostre imprese. Gli ultimi dati disponibili ci dicono che nel Veneto ci sono 75.000 apprendisti, pari al 5% del totale degli occupati dipendenti veneti, contro una media nazionale del 4,2%.  Tuttavia, non nascondo che l’aumento della contribuzione in capo ai committenti prevista per i contratti a termine, per i lavori a progetto e per quelli accessori   rischia di far scivolare nel sommerso molte persone che attualmente prestano la loro attività lavorativa  presso le aziende private. E’ vero: in passato ci sono stati degli abusi, ma quanto stabilito per combattere le false partite Iva mi sembra eccessivo. Eccetto i professionisti iscritti agli albi, le false partite iva si trasformeranno in  rapporto di collaborazione coordinata e continuativa se valgono contemporaneamente due condizioni: il rapporto deve durare per oltre 8 mesi all’anno; deve pesare più dell’80% sui ricavi del collaboratore e deve comportare la fruizione della postazione di lavoro presso la sede del datore di lavoro. Il committente, comunque, potrà provare che si tratta di lavoro “genuinamente” autonomo, mentre queste disposizioni restrittive non si applicheranno se le competenze saranno di elevato grado teorico o pratico e se il guadagno dichiarato sarà superiore ad una soglia attorno ai 18.000 euro all’anno. Ho paura che in molti settori (radio, Tv locali e nazionali, giornali, etc.) buona parte di queste partite Iva spariranno, ma non si trasformeranno in posti di lavoro stabili. Infine, l’introduzione dell’Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego) andrà a sostituire la mobilità e la disoccupazione ordinaria. E’ probabile che anche nel Veneto i disoccupati coperti da un’ indennità di disoccupazione aumenteranno di numero, anche se la durata temporale e l’importo percepito saranno inferiori.   A meno di un drammatico aumento della disoccupazione, questa situazione  non dovrebbe costituire un problema dal momento che il numero di disoccupati di lunga durata presenti nel nostro territorio è tutto sommato molto contenuto. Ma al di là di un’attenta analisi del provvedimento c’è una questione importante da sottolineare che riguarda anche il Veneto: da tempo vado dicendo che non si può intervenire solo sul fronte dell’offerta. E’ giunto il momento di rilanciare anche la domanda, lasciando più soldi in tasca ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. L’obbiettivo è quello di far ripartire i consumi, altrimenti rischiamo di non uscire da questa fase recessiva.