L’accertamento da “redditometro” deve ritenersi invalido nella parte in cui il Fisco rileva spese per incrementi patrimoniali indicando solo una somma complessiva. Se l’avviso non specifica l’entità e altri elementi dell’unica o delle plurime spese asseritamente sostenute per incrementi patrimoniali il contribuente non è posto nelle condizioni di esercitare compiutamente il suo diritto di difesa.

 

La sentenza. È quanto emerge dalla sentenza 21 ottobre 2013, n. 23740, della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.

 

Il caso. La controversia è scaturita da alcuni avvisi di accertamento con metodo sintetico notificati nel 1995, ai fini IRPEF e ILOR per gli anni 1987-1988.

La Commissione Tributaria Regionale della Sicilia ha ritenuto gli accertamenti legittimi poiché ampiamente motivati. Di diverso avviso il difensore del ricorrente, secondo il quale la sentenza di secondo grado ha ritenuto motivati gli atti impositivi con riferimento alle proprietà immobiliari, laddove queste non erano chiaramente individuate (ma genericamente indicate come “abitazioni”) né individuabili negli atti impositivi, neanche avendo riguardo al “Mod 55” inviato al contribuente. Il questionario infatti conteneva abitazioni riconosciute dallo stesso Ufficio di proprietà di familiari del contribuente stesso. Per la difesa, poi, la CTR avrebbe dovuto rilevare l’invalidità degli avvisi per carenza di specificazione delle pretese spese per incrementi patrimoniali.

 

Patrimonio immobiliare. Dunque, sul fronte delle proprietà immobiliari la difesa del ricorrente non ha fatto centro. La Suprema Corte ha osservato che gli avvisi di accertamento contenevano l’elenco delle abitazioni, principali e secondarie, cui facevano riferimento; e l’assenza di elementi specifici di individuazione delle stesse è stata ritenuta inidonea ad aver impedito al contribuente un’adeguata possibilità di difesa, tenuto conto del fatto che gli avvisi erano stati preceduti dal questionario, nel quale gli immobili appartenenti al contribuente erano stati dettagliatamente indicati (come è emerso nello stesso ricorso nel quale il questionario è stato riprodotto, sia pur non completamente). Nella fattispecie si deve quindi concludere nel senso che “la motivazione degli avvisi impugnati in sé e attraverso l’invio del questionario, atto ovviamente ben conosciuto dal contribuente, sia stata idonea (tanto più che la fattispecie risale ad epoca – 1995 – anteriore all’entrata in vigore dello Statuto del contribuente) a porre il destinatario in condizioni di esercitare pienamente il diritto di difesa”.

 

Spese per incrementi patrimoniali. Il ricorso per cassazione è stato comunque accolto in relazione al motivo concernente le dedotte spese per incrementi patrimoniali (pari a complessive 190mln di lire). In questo caso i giudici del Palazzaccio hanno ravvisato la violazione dell’ articolo 38 del D.P.R. n. 600 del 1973, atteso che la motivazione della sentenza gravata si è rivelata inadeguata sul punto, “poiché l’indicazione di una somma complessiva, senza specificazione dell’entità e di altri elementi identificativi dell’unica o delle plurime spese asseritamente sostenute per incrementi patrimoniali, viola l’articolo 38, quarto comma, del TUIR – il quale richiede l’esistenza di ‘elementi di fatto certi’ da porre a base dell’accertamento sintetico -, in quanto rende impossibile, o eccessivamente difficoltoso, l’esercizio del diritto del contribuente di fornire la prova richiesta dal sesto comma del citato art. 38 del TUIR al fine di sottrarre dette spese dal computo del reddito complessivo accertabile in via sintetica”. La causa è stata quindi rinviata, per nuovo esame, alla CTR Sicilia.